rispolveramento…

… E’ un tempo storto e contorto questo, pieno di vecchi pensieri e nuove scoperte.

Lo passo a riprendere in mano cose vecchie, già viste e visitate, per dare loro un nuovo posto vicino a ciò che di nuovo è arrivato o s’è fatto vedere per un momento.

Recupero barattoli, libri e pezzi di stoffa. Riprendo in mano vecchi disegni per dare loro nuova forma. Riprendo in mano progetti di un tempo altro, lasciati ingiustamente a prendere polvere.

Rispolvero vecchie parole che trovo all’improvviso e mi sembrano nate ieri:

Ci pensi mai,

… alle foglie che resistono sui rami tutto l’inverno, a far dispetto al freddo e al gelo, a sfidare e sbeffeggiare le altre che son volate via?

O a quei cioccolatini dimenticati in macchina, al sole… d’estate… ci pensi mai?

Oppure a quei palloni lanciati in alto e poi scordati, tra le tegole e la grondaia.

Fermi lì a tappar la pioggia, ad accumular fogliame…

Ci pensi mai?

… alla schiuma profumata della vasca, che non vuole scivolare via, si attacca alle pareti e ci vuole l’alta marea per farla andare via…

Ai pensieri,

dove vanno quando chiudi gli occhi, se girando tutto il giorno nella testa, alla fine sono stanchi, si appoggiano in un angolo sconosciuto della mente e sonnecchiano anche loro.

Alle parole non dette se fanno fiocco tra le corde vocali oppure scivolano fermandosi nello stomaco…

Eh? Ci pensi mai?

Ai sogni finti, alle scarpe di plastica, alle sciarpe di carta, alle bottiglie senza un tappo o ai barattoli vuoti…

A tutte quelle volte in cui ti chiedi se abbia un senso tutto questo restare fedeli all’ idea che hai di te,

immaginando che alcune cose potrebbero capitare, forse, se solo fossi un po’ meno tu…

( da un vecchio post)

nei muri…

fine serata…

L’ora di chiusura è arrivata.

La osservo andare avanti e indietro per questo locale vuoto a sistemare le ultime cose. Ha il passo ancora veloce della serata, delle corse tra i tavoli ma sembra poco per volta rallentare e riprendere fiato. Mi son nascosto sulla piccola mongolfiera di terracotta appesa al soffitto, subito di lato alla zona bancone, un oggetto che adora da sempre e ogni sera scherza dicendo che prima o poi se la porterà via.
Alza le ultime sedie girandole a testa in giù sui tavoli e sulla mensola al centro dell’ingresso. Dal quadro elettrico stacca l’amplificazione nelle varie sale, nessuna voce può coprire la sua musica ora,scorre la sua playlist personale e la fa partire. Apre il cassetto di legno sotto la macchina del caffè, sceglie con cura lo strofinaccio che le serve. Gli altri prendono il primo che viene loro offerto, lei no. Non tutti vanno bene per asciugare piatti e bicchieri. Alcuni le danno proprio sui nervi con quel vizio che hanno di lasciare pelucchi sparsi, di asciugare per finta, lasciando aloni inguardabili sul vetro dei boccali. Quello a quadretti blu e verdi andrà benissimo. Se lo lancia sulla spalla sinistra e si avvicina alla lavastoviglie, che piano piano sta smettendo di girare. Apre lo sportello, vapore che esce e le offusca gli occhiali come nebbia di pianura, raccoglie il cestello, sempre pienissimo ma ormai le sue spalle sono abituate. TOK! sul piano del lavandino e via. Si appoggia al mobile e inizia quel lavoro, ripetitivo e rilassante di fine serata: in una mano il bicchiere caldo e nell’altra lo strofinaccio, una parte avvolge il bicchiere dal fondo e un lembo ci si intrufola per asciugare l’interno, giro di mani veloce ma non troppo e via. Di nuovo a posto e sulla mensola giusta. Fuori piove già da qualche ora con quella cadenza che sembra dire ” me la prendo con calma, la terra ha bisogno, ci metterò un po’ a chiudere” ma ora che dentro non c’è più il vociare umano a far da barriera sembra un temporale improvviso. Le temperature si sono abbassate, com’è normale a fine settembre in questa terra di campi stretti tra colline e montagne, di vento improvviso che punta al mare ma si ferma tra le file di mais. La vedo immersa nei suoi pensieri, ogni tanto sorride e poi un velo di malinconia le fa abbassare gli occhi. All’improvviso una folata di vento, schiocco le dita, la porta d’ingresso si apre, alza veloce gli occhi e la sento sussurrare “no, perché mi dimentico sempre di chiudere bene ?”

“Me la fai ancora una birra?” entra con il passo lento di chi sta arrivando alla fine della serata ma ha ancora voglia di un momento di calma. ” sì ma siamo chiusi, quindi piccola altrimenti mi fai andare a casa che s’è alzato il sole” sorride lei mentre pensa che forse va anche bene dimenticare qualcosa ogni tanto. Prende uno dei bicchieri dalla mensola, lo rinfresca sotto lo spillatore e inizia a far scendere il nettare ambrato che sa piacere al suo ultimo ospite della serata. La schiuma riempie metà del vetro, lo posa e mentre la birra riposa cambiando consistenza e colore prende una ciotola pulita da dietro il bancone e ci fa cadere dentro una manciata di patatine.” hai per cas…” non fa in tempo a finire la frase che lei fa scivolare la ciotola davanti ai suoi occhi, passando attraverso gli spillatori. Lui ne pesa il contenuto con uno sguardo ” non hai due noccioline?”  ” non è un circo, non ci sono elefanti qua” sorride lei pronta. Si sorridono e lei riprende in mano il bicchiere per finire il lavoro iniziato poco fa. Prende con cura un sottobicchiere di cartone e posiziona il tutto dall’altra parte del bancone. Lui raccoglie il bicchiere che viene completamente abbracciato da quelle mani grandi, lo porta alla bocca e ne beve una bella sorsata. La schiuma gli disegna due baffi sotto al naso e questo la fa sempre ridere, come quando vede qualcuno, specialmente un adulto, sporco di gelato intorno alla bocca.” Com’è andata stasera?”” al solito, tutto pieno fino all’una. Un via vai di vita e noia, qualche risata, qualche essere fastidioso accompagnato delicatamente alla porta, qualche discussione animata tenuta a freno alzando improvvisamente la musica. Anche stasera nessuno s’è fatto male, per fortuna. E a te? com’è andata?”” Bene, senza arte ne parte. Un paio di birre in giro, due passi per il centro e adesso qua a godermi le mie ultime non-noccioline della serata. Sei sempre tu a chiudere, ogni volta, non li fate i turni?”” Tanto non ho altro da fare, gli altri avevano tutti impegni e incontri a fine serata. Poi mi piace questo momento, mi godo la mia musica senza inutili e allucinanti richieste manco fosse una discoteca o una festa di paese, il silenzio tra i bicchieri. Mi rilassa e calma, scende l’adrenalina della serata, di corse tra i tavoli e ordinazioni urlate come fossimo sempre al servizio del primo che alza la voce. Poi finalmente posso fumare in santa pace”. Prende il pacchetto dalla mensola sopra al bancone, sfilandolo da in mezzo alle bottiglie di rum. Lo apre e con i denti tira fuori una sigaretta, lo richiude con un dito e lo tira in direzione dell’amico che alza semplicemente la mano afferrandolo al volo. Nel tempo in cui il pacchetto ha volato oltre il bancone lei s’è accesa la sua sigaretta e ha fatto partire anche l’accendino, che arriva perfettamente nell’altra mano appoggiata accanto alla birra.” Giocolieri! ” esulta lei facendo un saltello sul retro e scoppiando a ridere.” Sei stata lenta, precisa ma lenta” commenta lui senza scomporsi ma accennando ad un sorriso ” e poi… non è un circo” chiude lui guardando la sua birra e ridendo.”Touché” risponde porgendogli direttamente la latta delle noccioline salate, con un sorriso rilassato. Uscendo dal bancone si sposta verso il quadro elettrico generale e stacca le ultime luci ancora accese in giro per il locale. Rimane il retro del bancone illuminato in quel modo così malinconico che la incanta ogni sera. Prepara una birra per sé e si sposta sullo sgabello di fianco all’amico. La confidenza tra i due le permette di allungare le gambe e appoggiarle su quelle di lui che, abituato a quel gesto, si gira leggermente per farle spazio e renderle semplice la sistemazione.Appoggiate le rispettive schiene, portano alla bocca ognuno il proprio bicchiere, si sfiorano con lo sguardo. E’ lei ad interrompere il silenzio ” allora come stai? è un po’ che non ci vediamo in carne ed ossa per più di tre minuti…”Ancora un sorso di birra, un bel respiro e un ” Bene” esce dalle labbra, quasi trattenuto e poi sfuggito, guardando la mano sulle caviglie di lei.” Racconta su, adesso sono comoda, posso anche decidere di aspettare il sole”

Mentre osservo le loro mani gesticolare, i loro sguardi rilassarsi e le chiacchiere fluire leggere, scendo dal mio nascondiglio, come l’aria entrata scherzosamente dalla finestra della cucina scivolo in direzione della cantina. Quello che avevo voglia di fare l’ho fatto.

https://www.youtube.com/watch?v=6QMp1dEXijQ

Di incontri, attese e liberazioni.

Due composti diversi che si uniscono e generano un effetto su tutto ciò che toccano.

La mescolanza rende sensibili.

C’è il contatto di superfici differenti, luce e ombra si uniscono in mille sfumature.

Il contatto unisce e accentua la differenze valorizzandole.

C’è l’attesa sotto il sole, che sia forte d’agosto o debole di ottobre poco importa, quell’energia vitale in ogni caso smuove e scalda.

L’attesa impreziosisce il risultato, è respiro trattenuto e cuore aperto a ciò che accadrà senza saperne con precisione il risultato.

C’è l’acqua che scorre e toglie il superfluo facendo scoprire il risultato.

Togliere il superfluo è fondamentale per lasciare spazio a ciò che di più intimo e reale si nasconde.

Resta un’impressione, forse non la verità assoluta ma certamente un’immagine che molto si avvicina all’essenziale delle cose e il loro nascere dal contrasto tra luce e ombra.

 

 

Dedicata…

Sono il bicchiere d’acqua tiepida in estate
sono la nuvola che marca pioggia
sono il vento improvviso che scompiglia i capelli.
Sono il moscerino ad altezza orecchio
e la goccia di sudore in punta di naso
Sono il pensiero improvviso
come una caramella da poco
da scartare veloce e buttare in gola senza assaporarla
Sono un lampione con la lampadina sbagliata
un disegno colorato fuori dai bordi
una maglietta bucata nel bel mezzo del disegno
la sigaretta rotta
la bottiglia di birra calda
sono la coperta corta
sono la risata sguaiata
sono una canzone liberatoria leggermente stonata
il campo di grano colpito dalla grandine
l’erba alta difficile da calpestare
sono quello che vorresti
ma che mai trattieni
Sono l’attesa
l’arrivo in sordina
sono un saluto a mano aperta al di là di un vetro sporco
Sono la lama poco affilata
Di un coltello lasciato nell’orto
Che sporca, graffia ma non ti farà mai torto.

 

Visceralmente ispirata da questa…

… di finzione e protezione…

Ci sono facce di legno. Immobili, sempre uguali a se stesse. Sembrano naturali, come il legno sa essere ma qualcosa sembra costretto lì sotto, i sorrisi son sempre simili a quelli di un libro di disegno, lo sguardo si sposta di lenti e impercettibili movimenti  e anche ad avvicinarti rischi scaglie a fior di pelle.

Ci sono facce di latta, lucida e sottile. Quello che vedi è solo un riflesso ma non come con gli specchi. Quando le guardi non vedi te stesso ma solo qualcosa che ti assomiglia o qualcosa che vorresti vedere ma che resta confuso. A lungo andare rischiano ammaccature ma ben nascosti dietro quella pellicola tagliente non si accorgono che sta crollando tutto e insistono nella pantomima, cambiando al massimo interlocutore.

Ci sono facce di nebbia, tutto ciò che le circonda sembra poco chiaro ma non essendo un vero e proprio fumo non ne percepisci immediatamente il fastidio. Non vedi gli occhi, non vedi la bocca. Potrebbero ridere facendo rumore mentre tentano di fulminarti con lo sguardo e nemmeno te ne accorgeresti. E quando ti avvicini troppo e stai per scoprire l’inganno… PUF… svaniscono come un incantesimo.

Ci sono facce di vetro, puoi vedere quello che passa sottopelle. Impossibile mimetizzare le emozioni, belle o brutte che siano. Hanno occhi che ridono, bocche che piangono e naso che si stringe ad ogni odore fastidioso.  A volte possono sembrare opache per tutto ciò che ha sporcato i pensieri ma il sotto si percepisce, anche nel silenzio di uno sguardo. Le facce di vetro hanno spesso mani irrequiete che le stropicciano, aumentando il passaggio dei pensieri.

Il vetro non copre, non nasconde, caso mai è un tentativo di protezione e spesso, quando si rompe lo fa dall’interno.

 

 

Di rabbia condivisa e toppe da mettere.

Sono distratta e maldestra e negli anni non conto più quante cose mi si sono rotte tra le mani.

Alcune tazze le ho incollate e ne ho fatto dei vasetti, lo stesso con dei bicchieri. I piatti spesso son diventati passaggi leggeri in mezzo al giardino.

Mi taglio e mi faccio male in continuazione, fortunatamente nulla che un po’ di disinfettante e un cerotto, oppure un po’ di pomata all’arnica, non possano rimettere in sesto.

Quando Mini rompe qualcosa, giochi, quaderni, libri, ogni volta è una sfida ma in un modo o nell’altro i pezzi insieme li rimettiamo. Questo piccolo cavaliere Jedi ha un armadio di pantaloni con toppe alle ginocchia. A volte di toppe sulle toppe, perché fin dalla più tenera età siamo recidivi a cadute, scivolate e sfregamenti a terra, nonostante il dolore, perché impariamo che un ginocchio sbucciato non causa la morte di per sé.

Ma con un cuore rotto? Come si fa?

Ti sembra di avere un pulcino tra le mani, tremante e spaventato e nessuna parola buona può alleviare il dolore.

E’ straziante perché il tuo è già passato per quelle strade molte volte… ed è una sensazione che conosci bene.

E’ morto mille volte almeno, il mio cuore. Ha vissuto addirittura morendo, covando la morte in sè,

se l’è tenuta attaccata, ben stretta, senza distinguerla, ed è morto cento volte al giorno.

E’ la vita… ma è certo, non si muore tutte le mattine, si muore una volta sola. ( Vinicio C.)

Sai che non morirà, resterà ammaccato ma ricomincerà a pulsare, ne sei sicura.                  (esattamente come le ginocchia e i pantaloni di cui sopra)

Intanto quel dolore fa male come se in parte fosse tuo.

Se ci pensi bene almeno un pezzetto lo è.

Se quel cuore si sente rotto, se quello stomaco piange, se quella testa ora è piena di pensieri incontrollati e melmosi forse un briciolo di responsabilità è anche tua.

Che non hai ascoltato le tue sensazioni quando ti sembrava di avere di fianco le persone sbagliate (per te), quando non hai insistito, per colpa di un vaffanculo ben assestato che poteva raggiungerti, nel cercare di capire e sostenere nel modo giusto chi rischiava di farsi male, quando hai pensato di non essere abbastanza forte per intervenire e farti scudo. Quando semplicemente hai pensato di essere tu quella sbagliata.

Allora riprendi in mano le altre sensazioni, le migliori che hai avuto insieme a quelle più scure, che non ti hanno mai abbandonata e che ora vuoi rivolgere a chi hai sempre percepito essere un animo buono e da sostenere, anche quando stava dall’altra parte del mondo.

Bisogna usare quella rabbia che ti ritrovi tra le mani, accartocciarla  e farne altro, tipo uno zaino, una borsa di stoffa colorata o un cesto di vimini, per portarsi in giro un po’ del dolore dell’altro, senza sconti.

“Te ne prendo un pezzo e tu avrai il tempo necessario a digerirlo poco per volta e mentre lo porto con me tu lo guarderai da più lontano e darai a quel dolore il colore e l’importanza che merita. Non troppa e nemmeno troppo poca. Il giusto, per masticarlo e scartarlo. Mi metto al tuo fianco ( e so per certo non essere la sola) come Sancho Panza con Don Chisciotte, fosse anche a cavalcioni di un opossum, non importa”

Un cuore rotto, in fondo non si ripara. Forse perché non è davvero rotto ma solo ammaccato, lussato, graffiato. Brucia così tanto proprio perché funziona ancora e molto bene.

Mi sa che questo devono fare gli amici: aiutare a prendere quello che c’è per  farne altro, ogni volta, in ogni situazione e ancora di più nei momenti difficili.

Un cuore rotto si può solo rattoppare. Non torna quello di prima, cambia aspetto e non è detto sia un male.

Bisogna trovare le toppe giuste, che siano colorate e divertenti. Che lascino spazio alle ferite per guarire, senza ostruire il passaggio ai batteri, che si secchino sulla strada verso l’uscita, com’è giusto che sia.

Toppe che siano meraviglia e degne di nota, in quanto uniche e splendenti.

” Forza Tati, tira fuori ago e filo, presto!”.

 

 

quello che posso…

Della strada fatta,

ti lascio la polvere sotto le scarpe, i muretti accarezzati in punta di dita, il profumo dell’erba e il colore dei lampioni nelle notti d’estate.  L’aria raccolta dal finestrino della macchina e i piedi nudi sul cruscotto.

ti regalo uno zaino di testardaggine nel lottare per ciò in cui credi, scatole e scatole di incontri inaspettati e importanti, di emozioni forti che segnano la pelle del cuore, nel bene e nel male. E la voglia di averne ancora, nel bene e nel male, sempre.

Dei miei giorni,

ti lascio il profumo del caffè, l’odore di legna per l’inverno e quello dell’erba appena tagliata per l’estate. Lettere scritte e sussurrate, musica cantata a squarciagola, ballata e negata.

Dei miei sogni,

puoi tenerti i colori, in mille forme e sfumature per dare un senso alla solitudine, forbici e  taglierini per limare e dare la forma che vuoi al tuo mondo.

Ci sono gomitoli e pezzi di stoffa, bottoni, aghi e fili diversi, per intrecciare e assemblare il costume che meglio preferisci.

Ti lascio anche un barattolo di parole nuove, mai usate. Fanne ciò che vuoi, insieme a quelle sperate e mai arrivate. Prendi pure tutto, anche le paure, la noia e il fastidio.

Trovi tutto di me, in ogni finestra di casa, ogni piastrella del pavimento in ogni singolo granello di polvere e in ogni filo d’erba e di erbaccia del giardino.

Se ti va di cercare, di me, trovi tutto.

E tutto il mio contrario.

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Let’s not forget these early days
Remember we begin the same
We lose our way in fear and pain
Oh joy begin
Oh joy begin… (DMB)

Togliere

Si parte da uno spazio liscio e tutto uguale.

Ad ogni passo un solco, in ogni esperienza un segno. Da vicino sono solo linee sconnesse, cicatrici bizzarre e senza un senso apparente.

Bisogna imparare ad immaginare un obiettivo.

Per anni hai aggiunto, con colpi di matita più o meno precise, con colori e pennelli. Hai tentato di costruire il tuo quadro, il tuo disegno.

Cercando elementi in giro che colmassero quel vuoto nell’angolo, che rendessero speciale il centro. Hai cercato all’esterno qualcosa che riempisse, qualcosa con cui fare da specchio l’idea che avevi in testa.

Poi d’improvviso qualcosa si modifica: togliere, portare via il superfluo. Non con rabbia e impulso distruttivo ma con calma e attenzione.

Togliere quel di più che nasconde l’immagine che hai in testa, con mano consapevole.

Allora quei solchi non sono ferite ma strade, non sono mancanze ma esperienze fatte e di cui far tesoro.

A volte bisogna togliere per dare il giusto risalto all’immagine che si nasconde, per portare alla luce quello che hai nella testa.

A volte ciò che sta nel centro è la somma di tutto quanto sta intorno ed è lì che bisogna lavorare.

 

  
We're born with millions of little lights shining in our hearts
And they die along the way
Till we're old and we're cold
And lying in the dark
Cos they'll all burn out one day
They'll all burn out one day
They'll all burn out one day
They'll all burn out one day ( Passenger)


Alex e Aidi

Siamo la somma di tutto quello che abbiamo visto e vissuto.
Più un po’ di speranze, sogni sparsi, ricordi e mancanze.
Siamo fatti di abbracci dati e addii subiti.

Nelle mie vene scorre un sangue di collina, di curve a gomito, di campi in discesa, di boschi e muretti a secco, di nocciole e castagni.

A questo s’è mischiato lo sguardo di pianura, che guarda l’orizzonte e non trova ostacoli cercando nuovi appigli su cui fermarsi.

S’è aggiunto col tempo il profumo delle montagne in estate, il canto dei torrenti impetuosi, l’odore della pietra calda sotto il sole di agosto e quello dei prati dopo il temporale.

Poi ci sono le persone, quelle dell’infanzia, quelle lontane e quelle del quotidiano.

E quelle perse.

E’ una storia qualunque, di persone normali.

E’ una storia di amicizia e affetto, di parole urlate e pensieri nascosti.

Lei, incasinata come solo un’adolescente con l’inclinazione al melodramma può essere con la tendenza a camminare a testa china.

Lui, che non dice mai una parola di troppo e gira il mondo con sguardo dritto e mento alto, con passo deciso le fa da argine.

Perde il suo tempo dietro ai pensieri di lei, ai suoi turbamenti, al suo sentirsi sbagliata e sempre fuori luogo. L’accoglie e raccoglie tante volte che non le si può contare.

Ogni cosa per lei è emozione, forte, incontrollabile ed esplosiva. Lui le prende una per una, dalle risate alle lacrime, facendola sentire giusta. Si preoccupa delle emozioni di lei e raramente tira fuori le sue. Eppure in quegli occhi lei riconosce un animo attento, silenziosamente emotivo, spesso turbato. Lo crede una persona rara, un temperamento da uomo maturo ma capace di stupidera inaudita. Ha la capacità di farla ridere, molto, in modo semplice e inaspettato.

Poi basta. Finito tutto, chiuso tutto. Le strade prendono curve e paesaggi diversi, tanto. Troppo.

C’è ancora stata una sera, dopo parecchi anni da quell’addio senza voce, in cui l’aria sembrava la stessa di quando chiacchieravano, la sera, sulla panca in cortile, guardando il cielo e imprecando alla terra.

Finita la serata di lavoro al locale del paese, è stata incastrata ad una serata in discoteca, che per lei era, ed è, come lanciare il diavolo in una vasca d’acqua santa. Lui, passato casualmente in una serata solitaria tra quel bancone e quei tavolini ha lasciato uscire con estrema semplicità un: ” dai, vengo anche io” ; immediatamente le spalle di lei si sono sciolte, i polmoni hanno ripreso a respirare e il suo cuore s’è sentito a casa.

L’ultima volta che si sono tenuti per mano.

L’ultima volta che lui s’è fatto argine per lei, che s’è fatto appoggio e sostegno.

L’ultima volta che i loro occhi hanno riso insieme. Poi il vuoto.

Da quella sera c’è una specie di orologio sottopelle, che con una scadenza tutta sua fa scattare la molla del cucù e i pensieri di lei si aggrovigliano intorno a quegli occhi e a quel sorriso. Domande senza risposta, se e ma inutili scavano solchi come letti di fiumi in secca. Sente chiaro e nitido un CLACK dietro la nuca, all’altezza del cervelletto, come avesse qualcosa di appollaiato proprio lì e che lentamente scende in gola. Passa qualche giorno con quel cuculo in pieno petto, poi rientra e si richiude per un altro po’ di tempo.

A volte resta fermo per un tempo abbastanza lungo da farle pensare ” ok, è andata, passata“. Altre basta un profumo, un incrociarsi per strada e la molla riscatta, ripartono i pensieri, i se, i ma,  i chissà. In genere in modo molto sottile, impercettibile, facilmente dissimulabile a chiunque.

Una volta soltanto, dopo anni di vite diverse, apparentemente strutturate altrove, quel meccanismo s’è inceppato: è esploso come una deflagrazione, strappando carne e fiato, nessun avviso o cenno di cedimento. Improvvisamente l’inferno nella testa.

E’ stato come vedere un torrente di montagna in preda al temporale più minaccioso, quando non azzarderesti mai a stargli accanto o sul ponticello che lo attraversa.

E’ stata dirompente, in un battito di ciglia ha perso il controllo, non ricorda con precisione le parole che sono uscite ma sa di avere detto tutto, tutto quello che per anni ha solo pensato esclusivamente tra i suoi pensieri, sentendosi come sempre tremendamente sciocca. Ha iniziato a piangere, imprecare, a chiedere scusa e umiliarsi.

Lui, fisso in piedi davanti a lei, la guardava dritta negli occhi, in volto nessun sorriso ma un ghigno compiacente. Uno sguardo duro e divertito.

Dopo quella scenetta, il nulla.

Nulla che non siano racconti di chi con lui ha ancora a che fare. Sembra diverso, freddo. Al solo pensiero le si gela il cuore  ripensando all’ultima volta che ha visto quegli occhi. Le si spezza il fiato e non riesce a credere sia possibile.

Si cambia, questo è certo, la vita ci mette di fronte a delle scelte e lui, a quanto pare, ha scelto di vivere in linea retta. Niente curve, niente discese, nessun passeggiare in bilico sui muretti ma nel centro perfetto della strada, senza mai spostare lo sguardo da quel punto che s’è piazzato di fronte. E’ come se avesse deciso di chiudere con chirurgica precisione ogni possibile fuoriuscita di emozioni e sentimenti non necessariamente utile al trascorrere dei giorni e al quieto vivere nel mondo.

Anche lei è cambiata, ha fatto il suo buon numero di casini ma ha imparato l’arte del non farne necessariamente un dramma. Continua a lasciare uscire emozioni e sentimenti come palline di un flipper impazzito ed è proprio grazie a quelle che non trova un punto fermo verso il quale andare. La testa continua a ciondolare in tutte le direzioni, con occhi ben aperti e pronti a raccogliere ogni sfumatura, si lascia distrarre e un punto fermo in fronte non ce l’ha

Ha sempre quel ticchettio di sottofondo che si ripresenta ogni tanto ma non è più nostalgia, non è stare ancorati al passato… è provare dispiacere per un cuore buono al quale non ha saputo e potuto stare accanto, è un dolore sordo che buca il petto nel pensare che quegli occhi abbiano cambiato luce.

E’ la paura di ammettere che forse quegli occhi non siano mai stati come li ha visti lei e che i suoi ricordi si stiano prendendo gioco di quell’orologio a cucù che ha nel petto.

stringi il petto e nascondi i pensieri….

Di autunno e giorni corti.

Costruisco pensieri di lana cotta
per scaldare l’autunno e fare il paio con i colori che ha
Intreccio la noia con la consapevolezza
per farne coperte che siano riparo
Mischio stanchezza e stupore a gioia e malinconia
per colorare quaderni e fogli sparsi
Raccolgo petali di stoffa e li lancio alla rinfusa
per camminare sui sogni infranti
Cucio bottoni sul ferro usando rami secchi
Mastico bonbon fatti di terra e vetro facendone bolle
Sono il buffone di una corte che non c’è
Sono lo gnomo nascosto nell’erba
Sono il clown bianco e l’Augusto
me ne vanto e me ne vergogno insieme.

… se non si divide il buio

si tradira’ sempre la luce (V.Capossela)

http://www.youtube.com/watch?v=6eT_IuQq7TM