Alex e Aidi

Siamo la somma di tutto quello che abbiamo visto e vissuto.
Più un po’ di speranze, sogni sparsi, ricordi e mancanze.
Siamo fatti di abbracci dati e addii subiti.

Nelle mie vene scorre un sangue di collina, di curve a gomito, di campi in discesa, di boschi e muretti a secco, di nocciole e castagni.

A questo s’è mischiato lo sguardo di pianura, che guarda l’orizzonte e non trova ostacoli cercando nuovi appigli su cui fermarsi.

S’è aggiunto col tempo il profumo delle montagne in estate, il canto dei torrenti impetuosi, l’odore della pietra calda sotto il sole di agosto e quello dei prati dopo il temporale.

Poi ci sono le persone, quelle dell’infanzia, quelle lontane e quelle del quotidiano.

E quelle perse.

E’ una storia qualunque, di persone normali.

E’ una storia di amicizia e affetto, di parole urlate e pensieri nascosti.

Lei, incasinata come solo un’adolescente con l’inclinazione al melodramma può essere con la tendenza a camminare a testa china.

Lui, che non dice mai una parola di troppo e gira il mondo con sguardo dritto e mento alto, con passo deciso le fa da argine.

Perde il suo tempo dietro ai pensieri di lei, ai suoi turbamenti, al suo sentirsi sbagliata e sempre fuori luogo. L’accoglie e raccoglie tante volte che non le si può contare.

Ogni cosa per lei è emozione, forte, incontrollabile ed esplosiva. Lui le prende una per una, dalle risate alle lacrime, facendola sentire giusta. Si preoccupa delle emozioni di lei e raramente tira fuori le sue. Eppure in quegli occhi lei riconosce un animo attento, silenziosamente emotivo, spesso turbato. Lo crede una persona rara, un temperamento da uomo maturo ma capace di stupidera inaudita. Ha la capacità di farla ridere, molto, in modo semplice e inaspettato.

Poi basta. Finito tutto, chiuso tutto. Le strade prendono curve e paesaggi diversi, tanto. Troppo.

C’è ancora stata una sera, dopo parecchi anni da quell’addio senza voce, in cui l’aria sembrava la stessa di quando chiacchieravano, la sera, sulla panca in cortile, guardando il cielo e imprecando alla terra.

Finita la serata di lavoro al locale del paese, è stata incastrata ad una serata in discoteca, che per lei era, ed è, come lanciare il diavolo in una vasca d’acqua santa. Lui, passato casualmente in una serata solitaria tra quel bancone e quei tavolini ha lasciato uscire con estrema semplicità un: ” dai, vengo anche io” ; immediatamente le spalle di lei si sono sciolte, i polmoni hanno ripreso a respirare e il suo cuore s’è sentito a casa.

L’ultima volta che si sono tenuti per mano.

L’ultima volta che lui s’è fatto argine per lei, che s’è fatto appoggio e sostegno.

L’ultima volta che i loro occhi hanno riso insieme. Poi il vuoto.

Da quella sera c’è una specie di orologio sottopelle, che con una scadenza tutta sua fa scattare la molla del cucù e i pensieri di lei si aggrovigliano intorno a quegli occhi e a quel sorriso. Domande senza risposta, se e ma inutili scavano solchi come letti di fiumi in secca. Sente chiaro e nitido un CLACK dietro la nuca, all’altezza del cervelletto, come avesse qualcosa di appollaiato proprio lì e che lentamente scende in gola. Passa qualche giorno con quel cuculo in pieno petto, poi rientra e si richiude per un altro po’ di tempo.

A volte resta fermo per un tempo abbastanza lungo da farle pensare ” ok, è andata, passata“. Altre basta un profumo, un incrociarsi per strada e la molla riscatta, ripartono i pensieri, i se, i ma,  i chissà. In genere in modo molto sottile, impercettibile, facilmente dissimulabile a chiunque.

Una volta soltanto, dopo anni di vite diverse, apparentemente strutturate altrove, quel meccanismo s’è inceppato: è esploso come una deflagrazione, strappando carne e fiato, nessun avviso o cenno di cedimento. Improvvisamente l’inferno nella testa.

E’ stato come vedere un torrente di montagna in preda al temporale più minaccioso, quando non azzarderesti mai a stargli accanto o sul ponticello che lo attraversa.

E’ stata dirompente, in un battito di ciglia ha perso il controllo, non ricorda con precisione le parole che sono uscite ma sa di avere detto tutto, tutto quello che per anni ha solo pensato esclusivamente tra i suoi pensieri, sentendosi come sempre tremendamente sciocca. Ha iniziato a piangere, imprecare, a chiedere scusa e umiliarsi.

Lui, fisso in piedi davanti a lei, la guardava dritta negli occhi, in volto nessun sorriso ma un ghigno compiacente. Uno sguardo duro e divertito.

Dopo quella scenetta, il nulla.

Nulla che non siano racconti di chi con lui ha ancora a che fare. Sembra diverso, freddo. Al solo pensiero le si gela il cuore  ripensando all’ultima volta che ha visto quegli occhi. Le si spezza il fiato e non riesce a credere sia possibile.

Si cambia, questo è certo, la vita ci mette di fronte a delle scelte e lui, a quanto pare, ha scelto di vivere in linea retta. Niente curve, niente discese, nessun passeggiare in bilico sui muretti ma nel centro perfetto della strada, senza mai spostare lo sguardo da quel punto che s’è piazzato di fronte. E’ come se avesse deciso di chiudere con chirurgica precisione ogni possibile fuoriuscita di emozioni e sentimenti non necessariamente utile al trascorrere dei giorni e al quieto vivere nel mondo.

Anche lei è cambiata, ha fatto il suo buon numero di casini ma ha imparato l’arte del non farne necessariamente un dramma. Continua a lasciare uscire emozioni e sentimenti come palline di un flipper impazzito ed è proprio grazie a quelle che non trova un punto fermo verso il quale andare. La testa continua a ciondolare in tutte le direzioni, con occhi ben aperti e pronti a raccogliere ogni sfumatura, si lascia distrarre e un punto fermo in fronte non ce l’ha

Ha sempre quel ticchettio di sottofondo che si ripresenta ogni tanto ma non è più nostalgia, non è stare ancorati al passato… è provare dispiacere per un cuore buono al quale non ha saputo e potuto stare accanto, è un dolore sordo che buca il petto nel pensare che quegli occhi abbiano cambiato luce.

E’ la paura di ammettere che forse quegli occhi non siano mai stati come li ha visti lei e che i suoi ricordi si stiano prendendo gioco di quell’orologio a cucù che ha nel petto.

stringi il petto e nascondi i pensieri….

maledetta insonnia…

Quando hai una sensazione che gira, non sai come trovare le parole. Frughi a piene mani nella testa, ti sembra stia per prendere una forma, poi ti confronti con un animo prezioso che ti consiglia e ti aiuta… questo è quello che ne viene fuori. Grazie Melissima

Apre gli occhi, improvvisamente.

Svegliata da un sogno che immediatamente svanisce, lasciando nella gola quell’estremo senso di angoscia mista ad ansia.

Con il fiato corto, il corpo sudato e il cuore a mille allarga le braccia a cercare un contatto, qualcosa sotto le dita che le faccia sentire di essere da questa parte del sogno.

Sente il lenzuolo sul dorso delle mani, leggero e accaldato. Allunga piano piano un piede, con la paura di toccare qualcosa di indefinito, lì sul fondo. C’è sempre qualcosa di preoccupante sul fondo.

Il giorno non ha ancora iniziato il suo cammino, ma una leggera lama di luce passa tra le persiane.

Questo vuol dire che è passata qualche ora dalla sera prima, dalla corsa verso casa, dai pugni al muro, dalla doccia a lavare via rabbia e orrore.

E’ trascorso del tempo, questo è certo, ma non abbastanza perché il ricordo sia lontano e offuscato.

Il fiato è ancora corto, strozzato. Le mani continuano la loro indagine sottocoperta, convinte di una presenza, sicure di qualcosa che sta per tornare.

Sente le coperte bloccarsi.

Trattiene il fiato e sgrana gli occhi. Lentamente volta la testa, rimasta fino ad ora fissa verso il nero del soffitto. I capelli scivolano sul cuscino liberando quel profumo misto di violetta e sudore. E’ un profumo che le piace, da sempre. La rilassa. Eppure ora c’è un’altra nota, lontana da essenze floreali alle quali è abituata. E’ un profumo che conosce, non sa come, non sa da dove arrivi ma lo conosce bene e questo non le ridà il respiro che ha perso.

Continua a voltare la testa, lentamente, come se tentasse di fermare il tempo prima di arrivare all’attimo in cui vedrà chi/cosa c’è accanto a lei. Perché qualcosa c’è, lo sente con ogni parte del corpo, ogni minuscolo angolo di pelle è teso e attivo a quell’odore.

Buio.

Nient’altro che buio. Non vede nulla, non riesce ad intravedere niente e nessuno. Niente di niente.

Eppure c’è, lo sente.

Sarà dietro la porta? O dietro lo specchio, quello appoggiato a terra, contro il muro ai piedi del letto? Sarà oltre la camera, dietro l’angolo che separa la sua camera dalle scale?

Non sente alcun rumore, nemmeno da fuori. Non ci sono gatti che miagolano, cani che abbaiano. Quel cazzo di cane del vicino! Rompe ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni notte. Abbaia come un matto ad ogni moscerino, perché adesso dorme?!

Non un rumore, nemmeno dentro casa. Tutto è solo buio e silenzio. C’è così tanto vuoto intorno che il respiro sembra amplificato e il battito del cuore suona come una grancassa.

Si sente solo quel profumo. Di terra umida e foglie marce. Di ghiaccio e temporale.

Lentamente sposta le gambe ed esce dal letto. Piedi nudi sul pavimento gelato. Un brivido si somma a quelli già in corpo da quel tempo trascorso che pare eterno.

Nel buio della casa si muove, lentamente, con le mani a cercare appigli, accendere la luce è una cosa impensabile. Procede a tentoni, come fosse cieca, lo stipite della porta, ora l’angolo del muro, un passo e poi un altro, lenti e appena sospesi. Un altro angolo, la mano scivola a cercare la seconda porta, quella del bagno, avverte il pavimento che cambia sotto i suoi piedi.

Quell’odore persiste, anzi sembra più intenso, come fosse ancora più vicino, eppure non c’è nulla, nulla di tangibile, niente a bloccare quei passi leggeri e paurosi. Continua a spostarsi, le piastrelle del bagno lucide e ancora più fredde. Col piede sente il bordo della vasca, poi con una mano arriva al mobile degli asciugamani. Di fronte a questo c’è il lavandino con lo specchio. Il fiato sempre più strozzato, l’odore sempre più intenso ora s’è fatto fiato, lo sente sul collo. Prova a deglutire e la saliva si fa ghiaia in gola, che brucia provocando un dolore intenso, ma di piangere non se ne parla, sarebbe rumoroso. Nel reprimere ogni minimo sfogo le pare di scomparire e poter essere lasciata in pace.

Ancora una volta la testa si gira, lentamente, in direzione dello specchio.

Nel frattempo il sole inizia il suo percorso verso l’alto e una leggera luce raggiunge il bagno, in linea diretta con la finestra della camera.

Un minuscolo raggio si riflette sulla superficie argentata dello specchio, sente il fiato sempre più vicino, ora è dietro le orecchie, sente un sibilo, sente un tocco sulle spalle. Di scatto porta una mano su di sé ma non percepisce nulla.

Sente un corpo vicino ma non lo può toccare. Angoscia che sale, terrore che prende alla gola.

Chiude gli occhi, non può più trattenere la paura, prende fiato girandosi di fronte allo specchio, raccoglie il poco coraggio rimasto e si lascia andare all’indietro, sicura di cadere tra quelle braccia inesistenti.

Il freddo percepito fino ad allora si fa fuoco che sgorga dalla testa e quell’odore, fino a poco prima indefinibile, ora è con certezza quello del ferro.

L’angoscia svanisce.

La paura se ne va.

Il sole ormai illumina la casa quel tanto che basta per vedere i contorni delle cose. Tra queste un viso, rilassato e sorridente, su piastrelle di ceramica bianche e azzurre… e rosse.

L’hanno trovata così, distesa nel bagno, tra il lavandino e la vasca. Le malelingue la definiscono stramba, chi la conosce non può fare a meno di notare quel sorriso, scomparso dal suo viso da troppo tempo…