Sono distratta e maldestra e negli anni non conto più quante cose mi si sono rotte tra le mani.
Alcune tazze le ho incollate e ne ho fatto dei vasetti, lo stesso con dei bicchieri. I piatti spesso son diventati passaggi leggeri in mezzo al giardino.
Mi taglio e mi faccio male in continuazione, fortunatamente nulla che un po’ di disinfettante e un cerotto, oppure un po’ di pomata all’arnica, non possano rimettere in sesto.
Quando Mini rompe qualcosa, giochi, quaderni, libri, ogni volta è una sfida ma in un modo o nell’altro i pezzi insieme li rimettiamo. Questo piccolo cavaliere Jedi ha un armadio di pantaloni con toppe alle ginocchia. A volte di toppe sulle toppe, perché fin dalla più tenera età siamo recidivi a cadute, scivolate e sfregamenti a terra, nonostante il dolore, perché impariamo che un ginocchio sbucciato non causa la morte di per sé.
…
Ma con un cuore rotto? Come si fa?
Ti sembra di avere un pulcino tra le mani, tremante e spaventato e nessuna parola buona può alleviare il dolore.
E’ straziante perché il tuo è già passato per quelle strade molte volte… ed è una sensazione che conosci bene.
E’ morto mille volte almeno, il mio cuore. Ha vissuto addirittura morendo, covando la morte in sè,
se l’è tenuta attaccata, ben stretta, senza distinguerla, ed è morto cento volte al giorno.
E’ la vita… ma è certo, non si muore tutte le mattine, si muore una volta sola. ( Vinicio C.)
Sai che non morirà, resterà ammaccato ma ricomincerà a pulsare, ne sei sicura. (esattamente come le ginocchia e i pantaloni di cui sopra)
Intanto quel dolore fa male come se in parte fosse tuo.
Se ci pensi bene almeno un pezzetto lo è.
Se quel cuore si sente rotto, se quello stomaco piange, se quella testa ora è piena di pensieri incontrollati e melmosi forse un briciolo di responsabilità è anche tua.
Che non hai ascoltato le tue sensazioni quando ti sembrava di avere di fianco le persone sbagliate (per te), quando non hai insistito, per colpa di un vaffanculo ben assestato che poteva raggiungerti, nel cercare di capire e sostenere nel modo giusto chi rischiava di farsi male, quando hai pensato di non essere abbastanza forte per intervenire e farti scudo. Quando semplicemente hai pensato di essere tu quella sbagliata.
Allora riprendi in mano le altre sensazioni, le migliori che hai avuto insieme a quelle più scure, che non ti hanno mai abbandonata e che ora vuoi rivolgere a chi hai sempre percepito essere un animo buono e da sostenere, anche quando stava dall’altra parte del mondo.
Bisogna usare quella rabbia che ti ritrovi tra le mani, accartocciarla e farne altro, tipo uno zaino, una borsa di stoffa colorata o un cesto di vimini, per portarsi in giro un po’ del dolore dell’altro, senza sconti.
“Te ne prendo un pezzo e tu avrai il tempo necessario a digerirlo poco per volta e mentre lo porto con me tu lo guarderai da più lontano e darai a quel dolore il colore e l’importanza che merita. Non troppa e nemmeno troppo poca. Il giusto, per masticarlo e scartarlo. Mi metto al tuo fianco ( e so per certo non essere la sola) come Sancho Panza con Don Chisciotte, fosse anche a cavalcioni di un opossum, non importa”
Un cuore rotto, in fondo non si ripara. Forse perché non è davvero rotto ma solo ammaccato, lussato, graffiato. Brucia così tanto proprio perché funziona ancora e molto bene.
Mi sa che questo devono fare gli amici: aiutare a prendere quello che c’è per farne altro, ogni volta, in ogni situazione e ancora di più nei momenti difficili.
Un cuore rotto si può solo rattoppare. Non torna quello di prima, cambia aspetto e non è detto sia un male.
Bisogna trovare le toppe giuste, che siano colorate e divertenti. Che lascino spazio alle ferite per guarire, senza ostruire il passaggio ai batteri, che si secchino sulla strada verso l’uscita, com’è giusto che sia.
Toppe che siano meraviglia e degne di nota, in quanto uniche e splendenti.
” Forza Tati, tira fuori ago e filo, presto!”.