Non ho l’abitudine di lavare le scarpe.
Tranne quelle di Mini, ridotte a delle montagnole di terra per tutti i giochi bambini tra campi e fango, prati e foglie secche.
Le mie sono logore e sporche.
Ho imparato a toglierle entrando in casa, quasi sempre.
Quando calpesto qualcosa me lo porto appresso.
C’è la terra che si sgretola e si fa polvere, staccandosi dalla suola delle scarpe che uso a camminare.
C’è lo SCIAK delle gomme da masticare, calpestate nelle piazze o staccate dai marciapiedi di paese.
La strada che passeggio resta attaccata e si prolunga nel tempo e nello spazio.
Anche quando cammino a piedi nudi.
L’orto, il giardino, la strada davanti a casa, allargano i loro confini, vanno oltre lo spazio concesso loro.
Se la suola, o la pianta del piede, è molto sporca tento di togliere il più grosso ma qualcosa, qualche velatura resta sempre.
Allora lascio impronte che a volte sono solo velature di polvere, come ricordi leggeri altre volte l’impronta si riproduce, ad ogni passo ne lascio un pezzo, ad ogni passo l’impronta cambia colore, si mischia ad altro ma c’è e la posso vedere, a tratti la sento…
Una parte si stacca e l’altra entra ancora di più nella suola o nella pelle.
Potrei lavarle con un sapone potente ma preferisco sia il tempo a pulirle e a rendere quelle macchie impercettibili.