Tempi moderni

Non si capisce che ora sia, c’è solo buio intorno.

Ci si immaginava di camminare in un bosco, verdeggiante, ombroso, un ristoro dal caldo. Profumo di terra umida e vita che scorre e cresce silenziosa.

Invece.
Improvvisamente i piedi hanno iniziato a restare incollati alla strada, trattenuti da una melma appiccicosa. I passi procedono ma talmente lenti che ci si sente fermi.
Il sentiero pare di colpo più stretto e rami appuntiti graffiano la pelle e trattengono i vestiti. E’ un procedere faticoso e aggrovigliato.
Dall’alto degli alberi si intravede ancora un po’ di luce ma non abbastanza da illuminare tutto quello che c’è intorno. Si va avanti a casaccio e la fatica diventa rabbia e la rabbia urla e siamo in tanti, da ogni parte, anche se non ci vediamo e questo rumore sta diventando assordante. Sono urla sempre più rabbiose che coprono il cinguettio degli uccelli, il passo baldanzoso del tasso e lo scivolare furtivo della volpe.
Nessun colore, a parte il nero melmoso del terreno e il buio pesto delle foglie prive di luce.
E angoscia.
E paura.
E amarezza, per questo viaggio intrapreso da tempo e che sembra portare sempre e solo al punto di partenza, sembra di camminare da un’eternità.
E in effetti…
La strada non è confortevole, per la pelle e per il cuore.
I pensieri si annebbiano e tutto intorno sembrano prevalere solo rabbia e fastidio.
E il bosco si fa palude.
Non riesco più ad andare avanti, voglio fermarmi e riprendere fiato ma ogni volta qualcuno spinge, strattona, urla ancora più forte ad un palmo dal naso.
L’odore di putrido che c’è nell’aria, brucia in gola come gas tossico.
Questo procedere ad ogni costo sembra tanto una gara il cui premio non è altro che un bagno asfissiante nella Gora dell’Eterno Fetore.
Mi arrendo.
A tentoni mi pare di sentire un tronco cavo, enorme. Buio come la notte più scura.
Basta, mi fermo.
Mi rannicchio come a tornare nel ventre della Terra. Non importano lombrichi e formiche.
Chiudo gli occhi e respiro.
L’umido non è più melma, ho trovato un angolo di pace.
Riapro gli occhi e vedo, oltre la strada battuta, uno spiraglio minuscolo e lontano di luce calda.
Chiudo di nuovo gli occhi e respiro.
Mi riguardo intorno e ne trovo altri, son piccoli e lontani ma ci sono.
Devo studiare il modo per superare il sentiero e non restarci di nuovo intrappolata.
Andare oltre.
C’è bisogno di andare oltre la melma e la puzza, attraversarle e superarle.
C’è bisogno di farsi sbattere in faccia rami gelati e pungenti pur di passare di là.
Riprendo fiato, la Gora dell’Eterno Fetore non fa per me.

Tra le foglie